Futuro Antico. Intervista al filosofo Alva Noë
La sua ispirazione la trova spesso in performer e coreografi e lavora sull'arte per comprendere appieno la mente umana e il mondo che ci circonda. Cosa pensa del futuro il filosofo americano?
Scrittore e filosofo, Alva Noë (New York, 1964) è noto per il suo lavoro sulla mente e sull’esperienza umana. Ha ottenuto il suo dottorato di ricerca ad Harvard nel 1995 ed è attualmente professore di filosofia e presidente del dipartimento presso l’Università della California, Berkeley. È anche membro dell’Institute for Cognitive and Brain Sciences e del Center for New Media.
Ha collaborato con diverse compagnie di danza, come The Forsythe Company, e ha lavorato con artisti come Deborah Hay, Nicole Peisl, Jess Curtis, Claire Cunningham, Katye Coe e Charlie Morrissey. Attualmente, fino al 2025, è Einstein Visiting Fellow presso la Free University di Berlino, dove dirige il gruppo di ricerca “Reorganizing Ourselves” e fa parte del Normativity, Critic, Change Graduate College.
Ha pubblicato diversi libri, tra cui Action in Perception (2004), Out of Our Heads: Why You Are Not Your Brain and Other Lessons from the Biology of Consciousness (2009), Varieties of Presence (2012), Strange Tools: Art and Human Nature (2015), Infinite Baseball: Notes from a Philosopher at the Ballpark (2019) e Learning To Look: Dispatches from the Art World (2022). Il suo ultimo libro, intitolato The Entanglement: How Art and Philosophy Make Us What We Are, data giugno 2023.
INTERVISTA AD ALVA NOË
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Sono molto affascinato dall’arte che si situa al confine tra l’aspetto visivo e la performance. Trovo ispirazione in artisti performer, che potremmo anche definire coreografi, come Jérôme Bel, il quale mette lo spettatore di fronte a un movimento che di solito non ci si aspetta su quel tipo di palco, oppure Tino Sehgal, che ha portato la conoscenza tipica del mondo della danza nel contesto culturale delle arti visive. Ho anche avuto l’opportunità di lavorare con un coreografo di nome William Forsythe, e mi piace particolarmente il modo in cui ridefinisce le semplici classificazioni. Nello spazio della danza, egli prende le risorse del balletto classico e le trasforma in qualcosa di completamente non riconoscibile.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Ogni libro che ho scritto è un risultato necessario ed essenziale di ciò che è stato pubblicato precedentemente. Quando termino un libro, mi rendo conto che avrebbe dovuto essere qualcosa di completamente diverso, ma poiché è già concluso, devo ricominciare da capo. Il libro che mi rappresenta maggiormente è Strani Strumenti (Strange Tools). Quando ho iniziato a scriverlo, stavo lavorando su domande fondamentali sulla teoria della percezione e della coscienza. Adesso, mentre lavoro sull’arte, le persone mi chiedono perché ho cambiato direzione, ma la mia risposta è che lavorare sull’arte è essenziale per comprendere appieno la mente umana. Alla fine del 2004, ho pubblicato un libro chiamato Action in Perception, il cui concetto centrale era che non esiste modo migliore per comprendere la mente, la percezione e la coscienza se non in relazione a un corpo pienamente attivo in movimento. Questa idea è stata molto ben accolta nel mondo della danza, e gli artisti che hanno letto il libro mi hanno invitato nel loro spazio creativo. Si è instaurato un rapporto di dieci anni di dialogo con artisti e danzatori, e durante tutto quel tempo la domanda è rimasta la stessa: cosa mi insegna la danza riguardo alle cose che mi interessano? Cosa posso insegnare io?
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
In generale, penso che il lavoro che facciamo in filosofia e nell’arte (che sono due modi diversi di fare la stessa cosa) sia una ricerca di un certo tipo di orientamento, di un luogo in cui possiamo ritrovarci in risposta alla facilità con cui ci smarriamo e ci disorientiamo. Credo che una persona, così come una pianta, faccia parte di un luogo e non sia semplicemente un prodotto, ma un costituente di esso. Un essere umano è un campo di battaglia tra le abitudini e la resistenza ad esse, e i luoghi giocano un ruolo fondamentale nello plasmare tali abitudini. Essendo un newyorkese cresciuto nel mondo dell’arte, il mio genius loci era New York ed è ancora oggi il luogo che più mi ispira. Non sono mai riuscito a smettere di essere un newyorkese, anche se vivo a Berkeley da vent’anni.
PASSATO E FUTURO SECONDO ALVA NOË
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
C’è un’idea che assocerei all’antropologo Tim Ingold, il quale sosteneva che anziché considerare il passato come qualcosa che è alle spalle e il futuro come qualcosa che è davanti a noi, possiamo vederci come il seguito di ciò che è avvenuto prima di noi: i nostri genitori, i nostri insegnanti, i nostri antenati. Il passato è davanti a noi e noi lo stiamo seguendo, cercando di portare il futuro verso il passato. Il passato su cui lavoriamo è il presente, e tutta l’immaginazione del futuro si confronta semplicemente con il passato.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Credo che la cosa più difficile sia veramente sapere e decidere ciò che si vuole. Ci sono così tanti modelli intorno a noi che ci dicono cosa dovremmo volere, quindi se si è fortunati e si sa cosa si vuole, bisogna lavorare su quello. Un modo semplice per dirlo è: fidati di te stesso riguardo alla tua passione e seguila. Ma questo è un consiglio molto astratto.
In un’epoca definita come quella della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Non mi piace l’idea di post-verità, ma mi piace l’idea che si possa mettere in discussione la verità. Dobbiamo trovare modi per accettare di metterla in discussione senza eliminare il concetto fondamentale di verità. La verità è collegata al lavoro di scoprire come le cose sono realmente ed è un lavoro che non ha mai fine. Per conoscere il mondo, per conoscere un’altra persona, per conoscere il proprio lavoro, è necessario essere aperti e accoglienti, e amare nel modo in cui Platone intendeva l’amore. Penso che l’amore sia il modo più profondo, a livello epistemico, di relazionarci con il mondo intorno a noi. Conoscere il mondo significa amarlo, e l’atto stesso di amare ci permette di conoscerlo. Non è facile amare, prendersi cura o prestare attenzione, e anche se non sono una persona religiosa, penso che ci sia una verità molto profonda in tutto ciò. Questo è un modo per pensare al sacro nella nostra vita oggi.
Come immagini il futuro? Potresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Un problema con cui dobbiamo confrontarci a livello internazionale è che siamo intrappolati nella tecnologia e nella scienza. La tecnologia e la scienza sono cose positive, ma niente è più importante dell’arte e della filosofia, e non esiste scienza e tecnologia senza di esse. Penso che ci sia un grave errore nel credere che possiamo capire il mondo senza di esse. Sono i luoghi in cui possiamo avvicinarci di più a liberarci da ciò che ci controlla, come la cultura, la biologia e la tecnologia.
Come prima idea, vorrei promuovere l’arte e la filosofia come elementi essenziali per il nostro futuro. Sfortunatamente, vedo una perdita di apprezzamento per questi ambiti nel mondo. Lo vedo nelle università, dove pensiamo che il lavoro degli insegnanti sia fornire un prodotto agli studenti, ma ci dimentichiamo che il loro vero ruolo è disturbare gli studenti in modo che possano diventare persone diverse, e questo è esattamente ciò che fanno l’arte e la filosofia.
I miei studenti sono ansiosi riguardo al loro futuro; c’è la guerra in Europa non lontano dall’Italia; c’è la guerra in Africa; il nostro sistema politico sembra fragile. Quando immagino il futuro, penso a un futuro in cui troviamo modi per riconoscere l’ansia, ma non permettiamo che essa ci definisca o ci determini.
Una terza questione è che ora più che mai abbiamo bisogno di educazione. Gli strumenti sociali che abbiamo, dal telefono al governo, dai media alle fake news, ci pongono in una posizione in cui riusciamo sempre meno a comprendere il mondo. Ci sono più informazioni, ma meno comprensione; più fatti, ma meno impegno. Abbiamo bisogno di un’educazione che ci insegni a pensare criticamente, a interrogare le informazioni e a comprendere il mondo complesso in cui viviamo.
Marco Bassan
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